Non abbiamo dimenticato l’Asimov di Io,
robot
e abbiamo
visto Blade Runner e prima ancora letto Il cacciatore di
androidi.
Accanto ad altri famosissimi creatori di science
fiction, Philip K. Dick campeggia come riferimento, stella polare di
HUMAN, romanzo di Tommaso Percivale. E non da solo.
Perché anche il cyberspazio,
luogo elettivo della generazione successiva di narratori di
fantascienza, spinta da William Gibson di Neuromante,
illumina in digitale i segreti della mente degli umani e degli
androidi, nonché gli spazi più reconditi, di quell'immenso caotico
agglomerato in cui è ambientato il romanzo.
E per di più, la proiezione in
un mondo fantascientifico e distopico di molte questioni insanabili
della realtà attuale (nord e sud del mondo, divaricazione estrema
fra privilegio e svantaggio, guerre, terrorismi, rivendicazioni di
identità e autonomie e molto dell’altro che angustia e opprime
l’umanità) si traduce, nel romanzo, in un aggiornamento dei problemi
dibattuti nelle società precedenti la nostra, fonte di ispirazione
per
gli autori che suggestionano il narratore odierno. Avvantaggiato comunque nella
sua costruzione dall’avanzamento tecnologico, di cui padroneggia gli
strumenti.
Se questo è il patrimonio letterario cui si rivolge l’autore, è
anche vero che la sua opera è solidamente costruita, intrigante di
una sua propria originalità, che non trascura l’esperienza acquisita
nella frequentazione della narrativa per ragazzi, e offre al lettore
pagine da divorare con giovanile voracità, garantendogli al contempo
abbondanti motivi di riflessione.
Gentile,
disponibile, di un personalissimo garbo nel proporsi e
nell’abbigliarsi, socievole quando scende in società dal cocuzzolo
della collina dove vive, immagina, scrive i suoi romanzi, senza
trascurare puntatine in una pasticceria di un paese vicino,
produttrice di amaretti e torroni paradisiaci – Tommaso Percivale
ha soddisfatto alcune nostre curiosità, riguardo a questa sua
opera.
-
Perché Human e perché
adesso? Cosa ha sollecitato la costruzione di quel mondo
fantascientifico e distopico che è Arcade, abitato da uomini e
androidi, padroni gli uni, schiavi gli altri, coinvolti tutti a
diverso titolo e grado in un
disegno di eversione e cosa ha spinto la sua immaginazione ad
animare i personaggi che vi compaiono?
“Volevo trattare alcuni temi
da un po’ di tempo. Il tema del terrorismo (dai punti di vista di
chi lo subisce, chi lo compie e chi lo manovra), la schiavitù (la
mercificazione dell’essere umano a cui viene negata una vita in cui
si può realizzare pienamente), e poi l’oggetto più centrale
dell’umanesimo cioè le emozioni e l’esperienza umana. Ho pensato ad
un androide per parlare degli uomini, di noi. E infatti la
difficoltà più grande è stata cercare di far sì che il lettore
potesse identificarsi con una macchina e provare autentica empatia.
Volevo introdurre il tema che più sento caro e che cerco di
raccontare sempre nei miei libri, anche se in modi diversi, il tema
della libertà. Di pensiero, di azione, di scelta. E anche riproporre
una storia di crescita, in continuità con la mia identità di
scrittore che si rivolge ai ragazzi”.
- Cardine del fatto narrato, Cassandra, una ragazza
androide di sofisticatissima produzione, s’accorge
progressivamente dell’anomalia di certi meccanismi che la regolano e
l’avvicinano alla complessità della coscienza dell’uomo. Turbata dai
fantasmi di una identità indefinita, assapora il frutto proibito
della disobbedienza all’imperativo che dovrebbe governarla (sei una
macchina), e cerca nella libertà di decidere quella caratteristica
umana che le è negata. A quali eroine assomiglia Cassandra?
“La Cassandra del mito greco era condannata a non essere creduta
pur avendo il dono della profezia. Anche la mia Cassandra ha un
dono, un dono unico e misterioso, e anche lei è condannata a portare
questo dono in un mondo che non lo accetta. In lei c’è poi qualcosa
di Giovanna d’Arco, una donna guerriera e spericolata le cui azioni
sono legate ad altri fantasmi, altri stimoli che solo lei conosce.
Si tratta di caratteri ribelli, forti, che vivono con difficoltà ma
decidono che vivere è importante, e che il destino non lo scrive
qualcun altro ma il nostro agire, le nostre scelte. Siamo noi il
nostro destino, e per questo dobbiamo avere il coraggio di decidere
e cambiare”.
- Una squadra di polizia, formata da androidi guidati da un
comandante umano; ciascuno di essi molto caratterizzato nelle
fattezze fisiche, psicologiche e di ruolo. Per qualche remota
analogia, questa squadra fa venire in mente le formazioni di alcune
serie televisive. Ha spazio anche la fiction televisiva in questo
romanzo?
“Non lo so. Io guardo molte serie televisive, di ogni genere.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’evoluzione imprevedibile
del telefilm, che da format piatto e lineare con episodi
autoconclusivi è esploso in lunghe fiction appassionanti e
avvincenti (e dal lauto budget).
Non saprei dire se le serie che guardo
abbiano avuto un ruolo predominante nel racconto di questa storia.
Posso però dire che amo tutte le storie che mi emozionano, siano
esse romanzi, fumetti, cartoni animati, film o videogiochi. Sono
curioso, mi appassiono e se mi racconti una grande storia, sono
capace di seguirti dovunque e con ogni mezzo”.
- I personaggi che tramano nell’ombra e non sono quello che
sembrano. Alcuni
manipolano la verità dei fatti e assoggettano uomini e androidi, non
esitando a ricorrere ai delitti più efferati per mantenere il
potere; altri, costituendo una rete di contrasto e infiltrandosi
nelle file del nemico conclamato il Fronte per l’integrazione
Androide, agiscono per mettere in iscacco il nemico vero, occulto, e
ottenere libertà per uomini e androidi. Ogni passaggio della trama è
condizionato dalla comprensione del segreto dell’origine di
Cassandra, la ragazza umana non umana. Difficile la soluzione con un
cammino lastricato di simulacri.
Come in Messaggio dall’impossibile
(altro romanzo dell’autore, n.d.r.),
ricorre il concetto di “simulacro” che, se connaturato come topos
alla letteratura di fantascienza, sembra avere altre accessorie
ragioni nei suoi romanzi. Infatti, accortamente dissimulato per
confondere le acque e dirigere verso altri approdi la vicenda
raccontata, diventa una sorta di grimaldello della rivelazione
finale. Quale istanza lo sollecita?
“L’immagine
è lo specchio dell’umanità. Esiste ciò che appare e viene visto, il
resto è dentro, sotto, in fondo. E non sempre l’immagine è bugiarda,
perché noi carichiamo oggetti e simulacri di significati veri e
profondi. Il nostro rapporto con le immagini e i simboli è ricco,
complicato. Il simulacro non è mai vuoto, e per questo è così
pericoloso: perché si riempie dei significati di cui lo investiamo.
In “Messaggio dall’impossibile” il meccanismo è ancora più evidente.
Tutto porta a vivere la storia in un certo modo, a vedere le cose da
una certa prospettiva. Ma dopo la rivelazione finale la storia
cambia. In “Human” ho scelto di usare questo “grimaldello” in un
modo diverso. L’inganno e la realtà si confondono, sono
inseparabili. Così Cassandra ci spinge a dubitare, a pensare in modo
differente. E non è questo che dovrebbe fare la fantascienza? Farci
riflettere in un modo nuovo sulla realtà che già conosciamo?”
- Visto che le ultime pagine
del romanzo parlano di una fuga e
dell’apparente trionfo del malvagio, ci piacerebbe sapere che
fine faranno i nostri eroi e se ci sarà giustizia per i buoni e
castigo per i cattivi. Magari un seguito di questa storia ce lo
dirà?
“Senza voler svelare un finale frenetico e con tanti colpi di
scena, posso dire di avere un debole per il lieto fine. E sì, ci
sarà presto un seguito che esplorerà nuove strade e porterà tutti i
personaggi, non solo Cassandra, verso il loro destino. Se nel primo
libro il grande tema è l’umanità, nel secondo sarà (guarda un po’)
la libertà. Ancora, sempre, comunque”.
- A completamento del nostro discorso,
ci sa dire se l’interesse
per la fantascienza è ancora attuale fra i ragazzi d’oggi, e che
consistenza abbia la produzione editoriale di libri di fantascienza
per ragazzi?
“Io
considero la fantascienza un linguaggio, e quindi non credo possa
essere più o meno attuale. La fantascienza permette di trattare
argomenti impegnativi e delicati con immediatezza e trasporto. Lo
scenario fantastico e fantascientifico è una chiave metaforica che
raggiunge i cuori e le menti di ogni tempo, stimolando un
immaginario nuovo per vivere emozioni antiche. È bello capire
qualcosa di noi mentre si legge qualcosa che in apparenza non ha
niente a che fare con noi.
Se parlo, per esempio, di terrorismo tra androidi, in una città
futuristica, forse è più facile pensare al terrorismo nelle sue
dinamiche più universali, perché lo sto collocando altrove. Forse è
più facile sentire, capire. E magari cambiare.
Per quanto riguarda la produzione editoriale, confesso di non aver
analizzato le pubblicazioni di fantascienza per ragazzi né prima né
dopo avere scritto questo libro. Volevo solo raccontare una storia
che mi sarebbe piaciuto leggere, e così ho fatto”
(L'intervista è tratta da LiBeR n.111, Luglio -
Settembre 2016)