27 Gennaio 2012,
Giornata della Memoria. Ho inciampato e non mi sono fatta
male, un bel libro di Miriam Rebhun fra memoria e storia.
Come insegnare la Shoah? Come parlarne? Come superare le
celebrazioni e far fronte, per esempio a scuola, a una incisiva
lezione che guardi all'integrazione fra memoria e storia?
Di più “la Shoah non è solo una pagina della storia, è una
rottura di civiltà, uno spartiacque. L’esame delle ideologie da cui
è nata e dei meccanismi con cui è stata realizzata devono rafforzare
i valori fondanti di un cittadino democratico, renderlo vigile
rispetto a potenziali altri genocidi, vaccinarlo da pregiudizi e
stereotipi tanto più diffusi quanto più la nostra diventa una
società multietnica”, dice Miriam Rebhun, l'autrice.
Il libro (qui proposto nella recensione di Rosella Picech per "Sullam",
Bollettino della Comunità ebraica di Napoli, n.77) si presta tanto a
una lettura privata, coinvolgente, emozionante, ricca di spunti di
riflessione, quanto a un interessante percorso didattico; il volume
è corredato da un'interessante iconografia e da un'ampia appendice
di documenti originali che possono guidare agevolmente un progetto
ideato in tal senso.
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(“Io
sono una testimone di seconda generazione, non ho vissuto la guerra,
non sono sopravvissuta allo sterminio, ma sono figlia ed erede del
nazismo e delle leggi razziali fasciste. … Allora mi chiedo: chi
viene da una storia così ha o non ha titolo per sentirsi una
testimone?”, Miriam Rebhun).
“Io sono…”, dètta Miriam dalla cattedra ai suoi allievi.
L’insegnante vuole conoscere la classe. Ma quella spinta a
incoraggiare gli altri, diventa un urlo silenzioso per se stessa:
"Io sono ebrea”. “Essere ebrea” rimane per Miriam come una vocazione
latente, sotto traccia, per tutta la giovinezza. Fino all’”inciampo”
che la scuote, rendendola “testimone di seconda generazione”.
Ho inciampato e non mi sono fatta male, un’opera prima
di sorprendente vitalità letteraria, è la storia dell’autrice,
Miriam Rebhun, ed è la storia di tanti. Della sua famiglia, di chi
della sua famiglia Miriam ha conosciuto e di chi non ha conosciuto.
Presenze importanti - quelle di mamma, nonno, zie, zii, e assenze
sofferte: Miriam non ha conosciuto suo padre, non ha conosciuto i
suoi nonni paterni. Volti, caratteri, affetti, richiamati a nuova
vita dalla scrittura affettuosa e ironica della figlia, della
nipote, della moglie, della madre, dell’amica, ma solo aridi
documenti e qualche sbiadita fotografia per l’orfana.
Tre sono le città importanti della vita di Miriam: “Haifa, Napoli,
Berlino”. A Haifa, nel 1948, si consuma la tragedia della fine del
giovane padre berlinese, fuggito nella “terra promessa” per
sottrarsi alle persecuzioni razziali della Germania nazista,
approdato a Napoli con la Brigata ebraica, sposo di Luciana, madre
di Miriam.
Napoli è la vita di Miriam, nata dopo la guerra, nata quando la
Shoah si è già consumata, la vita dell’infanzia, della giovinezza,
della formazione, in una famiglia numerosa e “larga”, nel cortile di
via Piedigrotta, sui banchi di scuola del “riscatto” del liceo.
Negli ambiti rievocati, spiccano figure di rilievo. Molte. In
ciascuna, Miriam, fine interprete della fisionomia, rintraccia
motivi di positiva considerazione. Un po’ come fa nella vita. Guarda
sempre il lato che è in luce, tralasciando l’ombra. Questa
disposizione la rende allegra, spiritosa, “festaiola”, al centro di
una cerchia di affetti, di amici, da ragazza come da donna. L’ha
anche spinta a pensare che avrebbe potuto avere molto,
conquistandolo, quando aveva poco, confidando in se stessa,
studiando, lavorando, vivendo.
La Napoli di Miriam è una città doppia. Vissuta nella laica vita di
tutti i giorni e goduta nell’intimità della piccola comunità
ebraica. Senza contraddizioni. Miriam sa appianare, Miriam ricerca
in tutto l’armonia. Si può dire che sa conciliare gli opposti. Li sa
far coesistere. Nei fatti quotidiani, come nelle scelte importanti.
Sposa un cattolico e rimane ebrea. Battezza le sue figlie, che
frequentano la comunità ebraica. Ama ciò che è misto, ciò che si
mescola. Ne ravvisa la ricchezza. Un anticonformismo notevole, in
cui cominciano ad aprirsi piccole falle.
La consapevolezza di viaggiare su binari scostati l’ha sempre
raggiunta, lasciandole vaghe inquietudini, presto rientrate. Il caso
e la necessità la fanno però imbattere, con progressiva insistenza,
in quella parte di sé rimasta in ombra.
Riemerge dal passato Haifa, e s’affaccia come novità Berlino.
Berlino, la città di suo padre, Berlino, la città dei suoi nonni.
Berlino che custodisce i segreti della sua parte in ombra. Ed è a
Berlino che Miriam si rivolge, convinta che a Berlino si scoperchino
le tombe.
Un lungo cammino di curiosità fatica dolore, sostenuto da studio,
ricerca, intraprendente bussare a molte porte, ha come sbocco la
riparazione della Memoria. Verso i congiunti “sommersi”, verso se
stessa, un po’ più riunita, anche nell’adempimento del compito
raccomandato dal rituale ebraico: “Lo racconterai ai tuoi figli”.
Nella veste ormai compiuta di “testimone di seconda generazione”.
Miriam Rebhun, Ho inciampato e non mi sono fatta male,
L’ancora del Mediterraneo, 2011, 152 p., € 16,00