Il
ciuccio non l’ha ancora tolto dalla bocca. Forse lo
prende di nascosto. Gli dicono (quando lo sorprendono), i
bambini grandi non fanno più quelle cose lì. Hai
lasciato il nido, lascia stare il ciuccio, all’asilo non
puoi far questa figura.
E lui, che ha il cruccio di cambiare “scuola”, di
lasciare il noto per l’ignoto, quella consolazione la
vorrebbe ancora. Proprio ancora. Sì.
Una
volta, s’andava svelti per levare il “vizio”. Sale,
pepe, ogni inguacchio amaro da spalmare sulle dolci curve
di quella amata tettarella, sostituto di mamma, prima
autonomia da mamma.
Oggi, la persuasione potrebbe trovare metodi più sani,
addirittura ludici, creativi, suggerire un nuovo oggetto
(al posto di), un nuovo amore, adatto a divertire,
impegnare, appassionare tanto da perdere il malvezzo.
Provare con il libro. Provare. Soprattutto se il libro
c’è già stato, ha conquistato il suo terreno, ha fatto
breccia nel cuore del bambino, da subito, quand’ era
ancora baby.
Dal
libro del nido al libro dell’asilo.
La
vetrina che ci accingiamo ad allestire ha come presupposto
una convinzione. Che l’autore più adatto per il bambino
che stiamo contemplando, il bambino che va all’asilo e
sta per abbandonare e il nido e il
ciuccio, sia quel personaggio che riassume in sé
la responsabilità completa dei testi e delle
illustrazioni.
Perché? Perché (quando si presenta il caso giusto)
parola e immagine che procedono da un unico gesto, un
unico progetto, si trovano tanto bene insieme da uscire in
un abbraccio stretto. E questa felice integrazione compie
il suo piccolo miracolo. Il libro si fa leggere da chi
ancora non sa leggere.
Dalla
scansione di un racconto minimo che alterna poche pagine,
componendole di illustrazioni chiare scontornate, una per
pagina, con un unico soggetto alla volta, sottolineato da
una proposizione semplice, come succede in Altan, al
racconto di immagini e parole, di significato più
articolato e complesso ancora di Altan e
di “Storie a colori”.
Libri d’entrata all’asilo, fin quasi alle soglie della
scuola elementare.