Se
sono principesse e regine, fate e maghe ma anche semplici
bambine il pensiero corre a lei. Chiediamo a Guicciardini? si
dicono da Mondadori e Piemme, da La Coccinella e al Messaggero
di S. Antonio, ma anche da De Agostini e Feltrinelli, e prima
(ancora prima, tanto tempo fa) nientemeno che alla Emme
Edizioni, quando era di Rosellina Archinto, e rivoluzionava il
modo di fare libri per bambini.
Sfogliandoli, i libri che Desideria Guicciardini
(Firenze, 1954, milanese da quando aveva dieci anni) completa
con le sue illustrazioni, viene proprio da constatare quanto la
rappresentazione della femminilità, in molte delle declinazioni
fiabesche da lei escogitate, e anche in più attuali
espressioni, trovi sistemazione magnificente e felice ma anche
ironica, se non addirittura maliziosa in alcuni contesti.
Perché
questa “specializzazione”? Te la sei conquistata sul campo?
E’ davvero una tua inclinazione?
"Credo dipenda un
po’ dal caso un po’ dal "fiuto" degli editori per
cui ho lavorato. C'è da dire che se una volta uno fa bene una
fatina, poi per anni ti chiedono fatine. Per cui avere
un'inclinazione può diventare una trappola. Nel mio caso penso
che una certa predisposizione derivi dalla mia “formazione
culturale". Che è un modo elegante di dire "dalla mia
età". Da piccola, infatti, ho visto illustrazioni che oggi
sono a dir poco desuete. Purtroppo. Io mi sono innamorata dei
libri illustrati grazie a un libro di mia nonna edito nel 1905, le
fiabe di Andersen, illustrate da Edmond Dulac. Poi ammiravo,
sempre da mia nonna, un Peter Pan illustrato da Rackham.Tutto
ciò quando in Italia ancora non c'era granché da ammirare".
Da
qualche parte dici: “Quando ero piccola amavo moltissimo i
libri. Mi piaceva leggerli, guardarli, collezionarli. Ce
n’erano però tanti senza illustrazioni. Allora io me le
facevo da sola e mi divertivo molto”. Visto che hai fatto
studi classici, come sei arrivata a questa professione? Contando
solo sul talento?
"Questo 'raccontino' sulla mia infanzia è stato scritto ad
usum bambini. C'è comunque del vero. Come ho appena detto, io
mi ero proprio innamorata delle illustrazioni. Una vera
fissazione. Anche durante gli anni del liceo, rigorosamente
classico, io disegnavo per conto mio. All'epoca, inizio anni
Settanta, editori illuminati cominciavano a pubblicare libri
stranieri a dir poco eccezionali. E io da Dulac passai ad
adorare Sendak. Ma ahimè, sempre in quegli anni, non c'erano
scuole specializzate e il mestiere di illustratore non era
neanche contemplato come categoria. Dirlo adesso fa ridere, ma
nessuno pensava "da grande farò l'illustratore". Per
cui ho fatto Lettere. Poi ho avuto fortuna, ma questa è
un'altra storia. Negli anni Settanta poteva ancora succedere".
Quando ti ho chiesto se volevi partecipare alla “Pagina
illustrata” di “Alice nel Paese dei Bambini”, la tua
risposta è stata questa: “ Io sono sempre stata refrattaria
alle "vetrine", ma ho visto il sito e questa formula
mi piace molto, perché finalmente si parla di libri e non di
pseudo artisti”. Che cosa volevi dire?
"Domanda imbarazzante. Intendevo dire che non si può
parlare di "illustratori" se non parlando di
libri.
L' illustratore esiste perché esistono i libri, cioè dei testi
scritti. Prima viene l'autore, poi l'illustratore. Altrimenti
parliamo di un'altra categoria, dei pittori per esempio. Non
intendevo dire che una categoria è meglio o peggio di un'altra,
ma che non vanno confuse".
Qual
è il libro fra quelli che hai illustrato che vorresti vedere
recensito in questa pagina e perché?
“Direi proprio La principessa e i Goblin. Perchè?
Perché: 1) è un testo classico di notevole peso ma del tutto
sconosciuto in Italia e mi pare una scelta editoriale quasi
controcorrente; 2) la Mondadori mi ha lasciata totalmente libera
di interpretarlo come volevo ( e anche questo non è così
abituale); 3) è il primo lavoro a colori che realizzo in parte
con l'aiuto di photoshop, cosa che alla mia età mi ha gasata
enormemente. Per me è una soddisfazione aver imparato a usarlo,
perché l’ho fatto a 50 anni (per la serie non è mai troppo
tardi!). Io ho sempre usato acquarelli e ecoline. E avevo l'idea
che il computer fosse un gelido mezzo meccanico. Invece è come
una matitona un po’ magica. Comunque continuo a usare carta e
acquarelli. Nulla potrà mai soppiantarli".
E’
vero, La principessa e i Goblin è un libro pressoché
sconosciuto in Italia e la scelta di averlo proposto
all’attenzione del pubblico è davvero una scelta
controcorrente, come nota Guicciardini, non senza una sottintesa
e condivisa polemica nei confronti di certa produzione
editoriale di questi ultimi anni, più attenta alla cassetta che
alla qualità dei libri proposti.
Il romanzo, scritto dal reverendo George MacDonald (Aberdeen,
1824 – Ashtead, 1905) ha molte ragioni di essere attentamente
considerato.
Pubblicato nel 1872 (si tenga a mente la data) configura "mondi
altri", rispetto a quello che ci è dato, anticipando
generi e mode.
Nel romanzo di MacDonald un mondo di sotto combatte il mondo di
sopra. Come se in origine ci fosse stata una guerra e una
cacciata dei ribelli da quel paradiso di terra ora abitato da
sudditi buoni e
fedeli.
Gli abitanti di sotto si chiamano Goblin, vivono al buio e nella
notte; nel tempo si sono adattati anche fisicamente alle
insolite condizioni di vita. Una metamorfosi progressiva, una
mutazione genetica li rende brutti e deformi, duri di testa,
molli di piedi, perennemente alla ricerca di una rivincita sui
trionfatori rivali. Il popolo di sotto è organizzato come il
popolo di sopra. Entrambi sono governati da un re. Ed è al
ratto della figlia del re del regno di sopra che mirano i Goblin,
per il loro riscatto.
Il teatro delle vicende del romanzo rimanda al regno di sopra
come a un regno lontano, dirottando tutta l’attenzione del
lettore in un lembo di paradiso terrestre (dove non mancano
comunque i poveri diavoli e fra essi un piccolo minatore, eroe,
nobile plebeo, personaggio importante ai fini della storia) e
dove vive confinata la piccola principessa, figlia del re.
Questa dimora regale, è il perno su cui poggia una costruzione
ingegnosa, narrativamente fantastica. Da far pensare alle
figurazioni antiche della Commedia dantesca.
Come ogni bambina, la principessa è curiosa ed esplora la casa.
Fatalmente chiamata, scopre un mondo più alto, più in alto, di
sopra, al di sopra di tutto: sembra di andare in soffitta e si
è in paradiso. Lì abita una strana e affascinante signora
dotata di poteri speciali, mentre di sotto, proprio sotto il
palazzo lavorano e tramano i Goblin.
La terra di mezzo, la terra di sotto, la terra di sopra. La
principessa, la fata, e l’eroe (il piccolo minatore). Le
conseguenze di genere si traggono facilmente.
In La principessa e i Goblin, romanzo ricco di risvolti
avventurosi, strabilianti e grotteschi, con notazioni
pedagogiche deliziosamente demodé, si contemplano discese agli
inferi che hanno ritorno, interventi magici, battaglie furibonde
ma anche amicizie fra nobili e plebei, appoggiate e consentite
dall’autore, educatore progressista, di vita tribolata, per le
sue idee, per la cagionevole salute e una numerosa famiglia da
mantenere.
Come si inserisce Guicciardini nella storia?
Sembra che l’abbia letta bene. E’ attenta e la rispetta.
Adotta simboli, immagina caratteri, estende la fantasia a più
di un orizzonte, non allontanandosi mai dalla storia raccontata.
Piccoli fregi in bianco e nero, parte per il tutto, in apertura
di ogni capitolo. Tavole, splendide tavole a colori, a
ripercorrere tappe salienti delle vicende narrate.
Guicciardini ama la sintesi ma sa usare la tavola come luogo
privilegiato dell’indizio; ha cura del particolare, che
riconduce al senso dell’intero; si serve di colori, vividi,
netti, contrapposti, finalizzati al disegno e alla scena, mai
distolti dalla loro funzione. Si sostiene alla trama del
racconto e dà corpo a più di una fantasia figurativa condivisa
con l’autore, sorprendendo il suo lettore con echi lontani di
sogni sognati, di gesti forse già visti, ma mai di asciutta
eleganza come quelli proposti in quest’opera.
George MacDonald, La principessa e i Goblin,
illustrazioni di Desideria Guicciardini, Mondadori ("I
Classici Illustrati"), 2004, p.224, € 15,00
Nota
bibliografica
Desideria
Guicciardini inizia ad illustrare nel 1976 pubblicando con
la Emme edizioni di Rosellina Archinto La bambola abbandonata
di A. Sastre e l’anno dopo Bambini andiamo alla Scala,
curato da Pinin Carpi. Lavora per molte case editrici del
settore e in particolare per Mondadori e per Piemme.
Per la casa editrice di Segrate illustra, fra l’altro, Le
più belle fiabe italiane, a cura di Guido Davico Bonino,
alcuni volumi di Francesca Lazzarato, riproposti recentemente
con il titolo Magia!, Il rude Ramiro di Margaret
Atwood nella collana “Contemporanea”, e molti libri della
collana “Junior” (si citano,
La Principessa Prunella della Atwood, e di Lia
Levi Una valle piena di stelle e Da quando sono
tornata), alcuni della collana “Sassolini” (La strada
antica di T.di Carpegna Falconieri, Una cioccolata per
la regina di G.Ponticelli, e di Margherita D’Amico Tre duchesse
e un asino, Tre navi e una tartaruga).
Per Piemme, oltre a
Una bambina ebrea a Roma di Teresa Buongiorno e Il
principe e il Ranocchio, citiamo i lavori più recenti (Incantesimi,
baci, ranocchi e principesse di E.D. Baker, Sognando l'India di
Emanuela Nava, Greta che vola di Silvia Roncaglia, Da grande farò
la ballerina di Aurora Marsotto).
Siccome si dice che con i libri non si campa, anche Desideria
Guicciardini, come molti suoi colleghi, lavora in altri settori
dell’illustrazione: “Da 2 o 3 anni lavoro per case editrici
inglesi, soprattutto con la Usborne . E' una esperienza
molto piacevole. Anche dal punto di vista economico. Accorgersi
che oltre confine l'illustratore viene pagato il doppio se non
di più che in Italia è davvero sorprendente. E' una cosetta
che fa riflettere. Io da sempre lavoro anche per la pubblicità,
appunto perché di soli libri non si vive. Ma forse all'estero sì!” |