racconti e romanzi

 
John Boyne

Il bambino
con il pigiama a righe

una favola di John Boyne



Il bambino con il pigiama a righe - una favola di John Boyne
si inserisce nella scia di molte rappresentazioni che ricorrono
al punto di vista di un bambino (si veda il romanzo di Jerry Spinelli,
Misha corre) per riportare il lettore nella tragedia della Shoah.
Questo romanzo, in particolare, è tutto giocato sul sottinteso,
su ciò che è taciuto ma è riflesso nelle sguardo di un bambino,
che lascia trapelare da indizi sempre più certi l'epoca in cui è collocata
la storia e il luogo, terribilmente preciso, indicato con il nome Auscit,
storpiato forse per la fatica, per il dolore, di pronunciarlo quel nome. 



Erano arrivati ad Auscit, l’aveva detto papà, l’aveva detto sua sorella. Auscit come uscita? Sembrava che qualcuno avesse lasciato di gran fretta il posto. Lasciato a loro? A lui, Bruno, a Gretel, sua sorella (quante arie, per qualche anno in più di lui!), alla mamma (che si era assoggettata di cattiva voglia a quel trasloco da Berlino), al papà (l’unico che si sentiva investito di destino e gloria nel passaggio a quel brutto posto che si chiamava Auscit; non lo aveva forse detto "il Furio", quella sera a cena a casa loro, che per lui, per papà, aveva grandi progetti? Questi? in questo brutto posto che si chiamava Auscit ?).
Dalla casa di Berlino (dove lui, Bruno, faceva "l’esploratore", da prima che avesse nove anni - giù e su per la balaustra delle scale – che viaggio! su e giù per quei cinque piani; dentro e fuori per soffitte e nascondigli, dentro e fuori dalla meraviglia delle sue sorprese), ad Auscit.
Brutto posto Auscit, dentro e fuori.
Dentro, in una casa che perdeva in tutto nel confronto con quella che aveva prima (è sempre lui, Bruno, che va per i suoi pensieri, che imbarazza di domande la cameriera e il padre, indispettito dal via vai di soldati vocianti e rumorosi, e soprattutto da quel tenente odioso che lo chiama ometto), e fuori.
Là FUORI, dalla sua finestra, superato il giardino di tante aiuole ordinate e una panchina, comincia la strada del filo spinato che procede all’infinito. E’ il recinto che chiude in un mondo (che pure deve chiamarsi Auscit come la casa da cui sembra promanare) baracche, ciminiere, uomini e donne, vecchi e bambini. Tutti vestiti allo stesso modo: pigiama a righe e berretto di tela in testa. Questo è quello che vede Bruno dalla sua finestra, Bruno che è in cerca di un amico, perché si sente proprio solo in quel brutto posto che si chiama Auscit.
Dentro e FUORI.
Fuori.
Provare con il gioco dell' "l’esploratore". Recuperare il travestimento nell’armadio. Riprendere le abitudini della casa di Berlino, riprendere le consuetudini delle recite con la nonna (“se ti metti i panni diventi il personaggio”).
Fuori. Il giardino, la panchina, ‘la panchina con la targhetta’ (“Bruno lesse piano, tra sé: donata in occasione dell’apertura del campo di... Esitò. ‘Auscit’, continuò, inciampando come al solito sul nome. ‘Giugno 1940’”).
In cammino. Lungo il filo spinato. Cammina... cammina... sembrava il deserto, c’era il vuoto. Così deve essere la scena nella quale va l’esploratore, che cerca qualcosa che deve essere scoperto “come l’America”, o trova qualcosa che è meglio lasciar perdere “come un topo morto nell’armadio della cucina”. Quel puntino che Bruno vide all’orizzonte, che poi diventò macchia, che poi diventò striscia, era una persona, un bambino, proprio il bambino con il pigiama a righe, ed “era lì che si faceva i fatti suoi aspettando di essere scoperto” (come l’America).
Dentro e Fuori.
DENTRO la rete, FUORI della rete. Di là Shmuel, di qua Bruno. Ogni giorno da quel giorno. Senza poter giocare. Uno di là, l’altro di qua. Solo per parlare. Per dirsi: abbiamo la stessa età, siamo nati nello stesso giorno, potremmo essere gemelli, anzi, visto che siamo ogni giorno insieme finiamo per assomigliarci un po’ di più, adesso che tu Bruno sei rapato per via di quell’uovo di pidocchio che ti hanno trovato in testa, guarda, sei quasi come Shmuel, se non avessi quel po' di carne in più. A specchio. Uno di là, l’altro di qua, la rete come specchio. Ma per sapere come sei, per scoprir l’america, fare l’esploratore fino in fondo, bisogna superare quello specchio, andare proprio là in america, vestire panni uguali per essere proprio uguali, mettere il pigiama a righe per essere un bambino con il pigiama a righe, per stare finalmente insieme, Bruno e Shmuel, senza essere scoperti, fino alla fine.
Fino a "quella" fine.

(di Rosella Picech, Alicenelpaesedeibambini.it)

John Boyne, Il bambino con il pigiama a righe- una favola di John Boyne, traduzione di Patrizia Rossi, Fabbri, 2006, p.224, € 14,00.

Al centro della pagina un'immagine del film tratto dal racconto di John Boyne.



ALICE NEL PAESE DEI BAMBINI
ideazione, titoli e testi di Rosella Picech
realizzazione grafica di Lena Chiodaroli

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