Erano arrivati ad Auscit, l’aveva detto papà,
l’aveva detto sua sorella. Auscit come uscita?
Sembrava che qualcuno avesse lasciato di gran fretta il posto.
Lasciato a loro? A lui, Bruno, a Gretel, sua sorella (quante
arie, per qualche anno in più di lui!), alla mamma (che si era
assoggettata di cattiva voglia a quel trasloco da Berlino), al
papà (l’unico che si sentiva investito di destino e gloria nel
passaggio a quel brutto posto che si chiamava Auscit;
non lo aveva forse detto "il Furio", quella sera a cena a
casa loro, che per lui, per papà, aveva grandi progetti? Questi?
in questo brutto posto che si chiamava Auscit ?).
Dalla casa di Berlino (dove lui, Bruno, faceva "l’esploratore", da
prima che avesse nove anni - giù e su per la balaustra delle
scale – che viaggio! su e giù per quei cinque piani; dentro e
fuori per soffitte e nascondigli, dentro e fuori dalla
meraviglia delle sue sorprese), ad Auscit.
Brutto posto Auscit, dentro e fuori.
Dentro, in una casa che perdeva in tutto nel confronto con
quella che aveva prima (è sempre lui, Bruno, che va per i suoi
pensieri, che imbarazza di domande la cameriera e il padre,
indispettito dal via vai di soldati vocianti e rumorosi, e
soprattutto da quel tenente odioso che lo chiama ometto), e
fuori.
Là FUORI,
dalla sua finestra, superato il giardino di tante aiuole
ordinate e una panchina, comincia la strada del filo spinato che
procede all’infinito. E’ il recinto che chiude in un mondo
(che
pure deve chiamarsi Auscit come la casa da cui
sembra promanare) baracche, ciminiere, uomini e donne, vecchi e
bambini. Tutti vestiti allo stesso modo: pigiama a righe e
berretto di tela in testa. Questo è quello che vede Bruno dalla
sua finestra, Bruno che è in cerca di un amico, perché si sente
proprio solo in quel brutto posto che si chiama Auscit.
Dentro e FUORI.
Fuori.
Provare con il gioco dell' "l’esploratore". Recuperare il travestimento
nell’armadio. Riprendere le abitudini della casa di Berlino,
riprendere le consuetudini delle recite con la nonna (“se ti
metti i panni diventi il personaggio”).
Fuori. Il giardino, la panchina, ‘la panchina con la targhetta’
(“Bruno lesse piano, tra sé: donata in occasione dell’apertura
del campo di... Esitò. ‘Auscit’, continuò, inciampando come al
solito sul nome. ‘Giugno 1940’”).
In cammino. Lungo il filo spinato. Cammina... cammina... sembrava
il deserto, c’era il vuoto. Così deve essere la scena nella
quale va l’esploratore, che cerca qualcosa che deve essere
scoperto “come l’America”, o trova qualcosa che è meglio lasciar
perdere “come un topo morto nell’armadio della cucina”. Quel
puntino che Bruno vide all’orizzonte, che poi diventò macchia,
che poi diventò striscia, era una persona, un bambino, proprio
il bambino con il pigiama a righe, ed “era lì che
si faceva i fatti suoi aspettando di essere scoperto” (come
l’America).
Dentro e Fuori.
DENTRO la rete, FUORI della rete. Di là Shmuel, di qua Bruno.
Ogni giorno da quel giorno. Senza poter giocare. Uno di là,
l’altro di qua. Solo per parlare. Per dirsi: abbiamo la stessa
età, siamo nati nello stesso giorno, potremmo essere gemelli,
anzi, visto che siamo ogni giorno insieme finiamo per
assomigliarci un po’ di più, adesso che tu Bruno sei rapato per
via di quell’uovo di pidocchio che ti hanno trovato in testa,
guarda, sei quasi come Shmuel, se non avessi quel po' di carne in
più. A specchio. Uno di là, l’altro di qua, la rete come
specchio. Ma per sapere come sei, per scoprir l’america, fare
l’esploratore fino in fondo, bisogna superare quello specchio,
andare proprio là in america, vestire panni uguali per essere
proprio uguali, mettere il pigiama a righe per essere un bambino
con il pigiama a righe, per stare finalmente insieme, Bruno e Shmuel, senza essere
scoperti, fino alla fine.
Fino a "quella" fine.
(di Rosella Picech, Alicenelpaesedeibambini.it)
John Boyne, Il bambino con il pigiama a righe- una favola di John Boyne, traduzione di Patrizia Rossi, Fabbri, 2006, p.224, €
14,00.
Al centro della pagina un'immagine del film tratto dal racconto
di John Boyne.
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